mercoledì 22 aprile 2009

SONO 15 ANNI CHE GLI STIPENDI DEI LAVORATORI CALANO

I LAVORATORI PRECARI SONO I NUOVI SCHIAVI, COSTRETTI AL SILENZIO CON STIPENDI DA FAME. RICORDIAMOCELO ALLE PROSSIME ELEZIONI



BANKITALIA:STIPENDIO GIOVANI CALA, GUADAGNANO 35% MENO PADRI
Inviato da sadmin Lunedì, 22 ottobre 2007 ore 13:11
Contributo di cortinovis


I figli hanno buste paga decisamente più leggere dei padri. E “difficoltà crescenti nel costruirsi una carriera lavorativa che consenta il pieno sviluppo delle attitudini e delle capacità individuali”.
Come se non bastasse a “esacerbare” il gap generazionale esistente fra padri e figli, almeno in termini di guadagni, sono state poi le riforme del sistema previdenziale. E’ questa la fotografia dei giovani alle prese con il mondo del lavoro scattata da un ‘working paper’ della Banca d’Italia, titolo “Il divario generazionale: un’analisi dei salari relativi dei lavoratori giovani e vecchi in Italia”. Una ricerca i cui risultati, come tutte quelle di questo tipo raccolte nei ‘Temi di discussione’, sono responsabilità degli autori e non impegna la posizione ufficiale della Banca d’Italia e cghe tra le conseguenze di questo stato di cose indica anche la “maggiore dipendenza dalle famiglie di origine”. Un accenno che richiama le polemiche seguite all’uso del termine “bamboccioni” da parte del ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa.

“Il salario dei lavoratori dipendenti più giovani si è ridotto negli anni Novanta rispetto a quello dei lavoratori più anziani. In particolare, il calo del salario d’ingresso non è stato controbilanciato da una carriera e, quindi, una crescita delle retribuzioni più rapida. La perdita di reddito nel confronto con le generazioni precedenti risulta dunque in larga parte permanente”, sottolinea lo studio, osservando come “in un quadro di moderazione salariale”, come quello degli ultimi anni, sembra che “l’aggiustamento delle retribuzioni sia stato asimmetrico e abbia penalizzato maggiormente le prospettive dei lavoratori neoassunti rispetto a quelle dei lavoratori impiegati”. Alla fine degli anni Ottanta le retribuzioni nette medie mensili degli uomini fra i 19 e i 30 anni “erano del 20% più basse di quelle degli uomini fra i 31 e i 60 anni. Nel 2004 la differenza era quasi raddoppiata in termini relativi, salendo al 35%”, osserva lo studio, mettendo in evidenza che un andamento simile è osservato anche per le retribuzioni orarie, “che non risentono della crescente diffusione del lavoro part-time, ed è riscontrabile a tutti i livelli di istruzione”. La dinamica del differenziale generazionale - prosegue lo studio - riflette il “declino dei salari d’ingresso, presumibilmente connesso ai mutamenti della legislazione sul mercato del lavoro”.
Per favorire il calo del tasso di disoccupazione tra i giovani, infatti, negli anni passati è stato introdotto un nuovo tipo di contratto che ha consentito alle imprese di pagare meno i neoassunti, come “compensazione per gli obblighi di training” dei giovani. Gli autori dello studio stimano che “nel decennio 1992-2002 il salario mensile iniziale sia diminuito di oltre l’11% per i giovani entrati sul mercato del lavoro fra i 21 e i 22 anni, presumibilmente diplomati (da 1.200 euro mensili a meno di 1.100 euro); il calo è dell’8% per i lavoratori fra i 25 e i 26 anni, potenzialmente laureati (da 1.300 a 1.200 euro mensili). per entrambe le classi di età, i salari d’ingresso, sono tornati nel 2002 ai livelli di 20 anni prima”. A esacerbare ancor di più il gap generazionale, anche in termini previdenziali oltre che di busta paga, sono poi intervenute le riforme delle pensioni. “I giovani lavoratori sembrano dover sopportare elevati contributi sociali e alte tasse, un rallentamento della crescita dei salari reali e una bassa copertura pensionistica, insieme a una carriera instabile. Questo è abbastanza - conclude lo studio - per giustificare crescenti preoccupazioni, anche in presenza di una crescita dell’occupazione”.

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